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"Il borghese gentiluomo" di Molière alla Corte

Dal 7 al 12 novembre 2017 al Teatro della Corte va in scena "Il borghese gentiluomo", uno dei grandi classici di Molière.

Sostenuto nientemeno che dal Re Sole, Molière si divertiva a far beffe delle paturnie e delle piccinerie di Corte: con Il borghese gentiluomo prendeva di mira gli arrampicatori sociali, quei borghesi che aspiravano al “titolo”, ossia i nuovi arricchiti che si spacciavano per nobili e, al tempo stesso, quei nobili spiantati che non sapevano come arrivare a sera. Jean Baptiste de Poquelin metteva in cortocircuito due classi sociali ben distinte: la nascente borghesia e la dura aristocrazia che sarebbero arrivate, di lì a poco, a risolvere il proprio conflitto a colpi di ghigliottina. Eppure già nel 1670, anno in cui la commedia andò in scena su musiche di Lully, la questione era aperta: la lotta di classe cominciava a dipanare le sue feroci possibilità.

Ma ben oltre la farsa, vi è in questo testo un’amara parodia, un ritratto desolato di chi, come anche Tartufo, si vuole spacciare per altro o diventare altro, comprando, a suon di mance e mazzette, non solo il titolo, ma l’identità. Faticoso diventare chi non si è: e Molière non nasconde una certa simpatia per l’ingenuo Monsieur Jourdain, un personaggio che fa quasi tenerezza per la buona volontà con cui si applica, zelante e generoso, nell’apprendere tutto ciò che potrebbe farlo ben figurare in “società”. Ha un sogno e lo dice chiaramente: avere a che fare con i nobili e per quell’idea di felicità è pronto a tutto. Gli altri se ne approfittano: dai sedicenti maestri – di musica, di ballo, di scherma o di filosofia – passando per un nobile filibustiero che gli spilla quattrini. La moglie lo avverte, la figlia si ribella, ma Jourdain tira dritto nel suo sogno, fino a che non dovrà pagarne, pesantemente, il prezzo.

Filippo Dini, regista e raffinato interprete, affiancato da un’eccellente e affiatatissima compagnia, s’impossessa del testo in un vortice di caricature di grande impatto comico: una galleria di mostri in cui non si salva nessuno, se non forse la Marchesa Dorimène, la gentildonna che il protagonista sogna, che diventa una cechoviana, languida ed erotica figura di rara umanità.
Jourdain, invece, con in testa una corona che è uno scolapasta rovesciato e illuminato da candele degno di Ubu, rimarrà punito mentre gli altri festeggiano: del grossolano sogno del borghese gentiluomo non resta nulla.


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